UN CAPOLAVORO RINASCIMENTALE DA BARI A NAPOLI

 
Bartolomeo Vivarini, Madonna in trono con il Bambino e Sant’Agostino, san Rocco, san Ludovico di Tolosa e san Nicola, in alto san Domenico, santa Caterina d’Alessandria, san Pietro martire, santa Maria Maddalena, tavola, cm 121x121, inv. Q66 (© Museo e Reale Bosco di Capodimonte)
 
 

Come si era già visto con il Polittico di Conversano, il ruolo di Venezia per gli sviluppi delle arti figurative in Puglia è di grande rilievo, soprattutto per la diffusione dei polittici a fondo oro che raggiungono quasi le soglie del Cinquecento, accogliendo il favore delle committenze locali legate ad antichi retaggi bizantini. Questo fenomeno è però da inserire in un panorama più complesso, in cui gli stessi artisti realizzano per un territorio “di periferia” non solo dipinti dagli stilemi classici, ma anche capolavori estremamente innovativi che documentano la loro attenzione e quella dei committenti alle rivoluzioni figurative e alle nuove tendenze del Rinascimento.
È questo il caso della tavola che raffigura la Madonna con il Bambino e i santi Agostino, Rocco, Ludovico da Tolosa, Nicola di Bari, Caterina d’Alessandria, Domenico, Pietro Martire e Maria Maddalena firmata e datata «OPUS BARTHOLOMEI VIVARINI DE MURANO 1465». Si tratta di un lavoro di Bartolomeo Vivarini eseguito in completa autonomia, negli anni in cui affiancava ancora il fratello maggiore Antonio, capostipite della celebre bottega muranese, con il quale aveva iniziato a collaborare nel 1450 con il Polittico della Certosa di Bologna. Come sostenuto dal massimo storiografo dei Vivarini, Rodolfo Pallucchini, la tavola conservata presso le collezioni del Museo di Capodimonte «è certo il capolavoro di Bartolomeo Vivarini, per la coerenza espressiva così equilibrata, per la contenutezza del colore e per l’unità degli effetti decorativi» (R. Pallucchini, I Vivarini. Antonio, Bartolomeo, Alvise, Venezia 1962, p. 42). Il dipinto rientra nel corpus dei lavori eseguiti dalla bottega dei muranesi e approdati in Terra di Bari, nello specifico destinato alla chiesa di San Pietro Maggiore, detto anche di San Pietro delle Fosse, demolita nel 1969.
Si trattava di un luogo di culto situato nei pressi del Complesso del monastero di Santa Scolastica, documentato già nel XII secolo e ingrandito nel 1436 per ospitare un convento francescano. L’importanza di San Pietro Maggiore è documentata dalla presenza di altre notevoli opere custodite nel convento prima della soppressione napoleonica, in seguito collocate in altri edifici, come probabilmente la tela seicentesca di Luca Giordano che raffigura San Giovanni da Capestrano in gloria che appare a San Pietro d’Alcantara ora conservata presso la Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto. In seguito all’occupazione francese (1806-1815), come per tutti i conventi presenti in Puglia, i beni immobili di San Pietro Maggiore furono incamerati dallo Stato e gli arredi andarono distrutti o dispersi. Un destino più felice è spettato alle opere di maggior rilievo, inviate ad arricchire le collezioni del Reale Museo Borbonico costituito nel 1816.
Proprio tra le opere di maggiore pregio il dipinto di barese giunge a Napoli già nel 1813, ma la sua provenienza resta ignota per molti anni e come sostiene Clara Gelao – la principale studiosa di pittura veneta in Puglia – bisogna superare gli anni Novanta del Novecento per ricondurla alla sua collocazione originaria.
Con questo lavoro Bartolomeo si allontana dalla pittura arcaica a fondo dorato ed esegue un dipinto in cui i personaggi ritratti sono disposti in uno spazio unico e la scena è descritta in uno luogo aperto delimitato da una quinta scenica. Il monumentale trono marmoreo della Vergine, che appare con le mani giunte in adorazione, presenta ai lati delle lesene decorate con motivi all’antica, mentre una serie di frutti e angeli in rilievo adornano i gradini dove è presente la firma dell’autore e la data di esecuzione. L’architettura del trono distanzia la Madonna con il Bambino dai santi a figura intera, disposti due per lato, mentre altri compaiono nel registro superiore a mezza figura, sempre due per lato, tra le nubi intervallate da cherubini azzurri che ritmano i colori del cielo. Una ghirlanda di frutti e nastri rossi si allunga da parte a parte, seguendo l’architettura voltata del trono, sorretta da alcuni angeli che faticosamente ne subiscono il peso.
La complessità della composizione risente ancora del rigore con il quale le figure sono organizzate nei polittici (si veda polittico di Conversano), ma il tutto è risolto in una composizione che guarda alle grandi novità figurative introdotte da Andrea Mantegna e alla necessità di descrivere la Sacra Conversazione in uno spazio unificato. Bartolomeo si cimenta in questa innovazione iconografica per la prima volta proprio con il dipinto di San Pietro delle Fosse, riproponendola con la tavola dell’Annunciazione (1472) conservata nella chiesa matrice di Modugno e dopo con la Pala di San Nicola di Bari (1476), conservata nella Basilica di San Nicola (redazione CartApulia).

 

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