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Il maestoso e imponente pavimento musivo della cattedrale, che si estende lungo tutta la sua superficie in lunghezza e pressoché totalmente anche in larghezza, occupando circa 340 metri quadrati, è stato voluto dall'Arcivescovo Gionata a completamento dell'arredo liturgico nella chiesa romanica. Realizzato dal monaco Pantaleone tra il 1163 e il 1165, come attestano le epigrafi musive collocate all'interno del complesso disegno globale, testimonia una matura capacità esecutiva delle maestranze locali, che ereditano una tecnica tradizionale ininterrotta dall'età romana all'età paleocristiana, e certamente non meno utilizzata in età altomedievale (come attesta il caso eccezionale del mosaico con il grifo della cattedrale di Bitonto) anche se scarsamente documentata per la precarietà delle testimonianze giunte sino a oggi.
L'assoluta novità del mosaico idruntino, che segna certamente un momento fondante nella tradizione dei pavimenti musivi delle cattedrali romaniche pugliesi, consiste nella importante variazione dell'impaginato spaziale, nella collocazione perfettamente equilibrata del fitto intreccio di figure umane, animali e fantastiche, in una sorta di ordinato horror vacui, e soprattutto nel disinvolto impiego delle fonti iconografiche e letterarie di matrice classica e orientale insieme a quelle di tipo romanzo e nel potente rimescolamento del sacro con il profano, che ha generato non poche difficoltà di interpretazione per gli studiosi.Tra le fonti sono state riconosciute i Vangeli apocrifi, il Physiologus latino, il Romanzo di Alessandro dello pseudo-Callistene, noto da una rielaborazione dell'XI secolo detta Historia de proeliis, e gli scritti legati alla leggenda di re Artù, che certamente erano accessibili a Gionata e al monaco Pantaleone grazie alla ricchissima e prestigiosa biblioteca del vicino monastero bizantino di San Nicola di Casole.
Il complesso disegno globale si snoda sulle tre navate e nell'abside secondo un modello che rispecchia nelle navate minori il disegno della navata maggiore. Questo è impostato sulla estensione in altezza di un grande Albero della Vita, che poggia la sua base e le robuste radici sul dorso di due elefanti posti uno di spalle all'altro. Sotto i loro piedi è collocata l'iscrizione con i nomi del magister e del committente, sopra di loro i rami dell'albero segnano spazi orizzontali quasi simmetrici entro i quali trovano posto scene disparate e isolate e una brulicante popolazione di uomini e animali reali e fantastici apparentemente disposti in modo casuale. A tre quarti dell'altezza dell'albero una nuova iscrizione segna una cesura orizzontale nel disegno generale: oltre di essa, i rami si disperdono e assumono una nuova forma, intrecciandosi in dodici cerchi che ospitano altrettanti medaglioni con le raffigurazioni dei Mesi. Nel vano del coro, il disegno si dispone a formare sedici medaglioni, tra i quali i due centrali della prima fila ospitano Adamo ed Eva nella scena del Peccato Originale, uniti dal serpente tentatore che si appoggia alla cima dell'Albero della Vita. Le restanti rotae sono occupate da animali reali e fantastici e dal mitico re Salomone con la regina di Saba. L'ultima zona dell'area presbiterale, interessata da una vasta lacuna prodotta dall'immissione dell'altare in età barocca, è occupata da alcune scene bibliche del Vecchio Testamento (la città di Ninive, la moglie di Loth trasformata in statua di sale, l'episodio di Sansone con il leone, il profeta Giona gettato in mare) che secondo una suggestiva, complessa e recentissima lettura (Frugoni) si legano a tutto il resto del mosaico pavimentale rappresentando una vera e propria Mappa Mundi medievale.
Nelle due navate laterali si dispongono due piccoli Alberi della Vita, anch'essi apparentemente indipendenti dal disegno generale eppure a esso legati. Nella navata sinistra si dispongono ai lati dell'albero raffigurazioni dell'Inferno e del Paradiso, mentre nella navata destra brulicano ancora una volta uomini e animali reali e fantastici.
Tra le scene più note e meglio visibili spiccano la Costruzione della Torre di Babele e il Volo di Alessandro Magno, entrambe chiaramente interpretabili come allegorie della superbia umana.
Data ultimo aggiornamento: 18/02/2020